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Illustrato il rapporto sulla salute dei rifugiati 2019

Assicurare a migranti e rifugiati un’assistenza sanitaria adeguata non solo è un dovere umanitario ma è anche un vantaggio per i paesi ospitanti. Lo sia in termini di salute pubblica e di economia. A dirlo è il primo “Rapporto sulla salute dei rifugiati e dei migranti nella regione europea dell’Oms”, presentato al Palazzo delle Nazioni a Ginevra da Zsuzsanna Jakab, Dg Oms Europa, e da Santino Severoni, coordinatore del programma Oms Europa sulla migrazione e la salute.

Prodotto in collaborazione con l’Istituto Nazionale Salute, Migrazioni e Povertà (Inmp) sulla base di oltre 13 mila documenti, il report fotografa per la prima volta le condizioni di salute di rifugiati e migranti nel Vecchio Continente. Inoltre smentisce uno dei più comuni pregiudizi. Ovvero quello secondo il quale i migranti e i rifugiati portino malattie dai loro paesi di origine. In realtà, sono loro a rischiare di più di ammalarsi, durante il viaggio o nei paesi ospitanti. Per questo andrebbe assicurato loro l’accesso alle cure.

Il rapporto sulla salute dei rifugiati e dei migranti in Europa

Con 53 Nazioni ed una popolazione di 920 milioni di persone, la regione europea dell’Oms si estende dall’Artico al Mar Mediterraneo, dall’Atlantico al Pacifico. Si stima che in questa area i migranti internazionali, mediamente, sono quasi il 10% della popolazione. Le percentuali sono variabili. Si va dal 50% di Andorra e Monaco a meno del 2% di Albania, Bosnia ed Erzegovina, Polonia e Romania. In quest’area l’l’85% dei migranti e dei rifugiati sono ospiti di paesi in via di sviluppo, primo fra tutti la Turchia, che accoglie 3,5 milioni di rifugiati.

Il rapporto confronta lo stato di salute di migranti e rifugiati con quello delle popolazioni dei paesi ospitanti. Non esiste un sistema per la raccolta di dati scientificamente validi e confrontabili. Le informazioni sono limitate e non sempre è possibile trarre conclusioni generalizzate. Donne, giovani uomini, adolescenti e minori non accompagnati che arrivano nella regione europea dopo viaggi estremi spesso subiscono gravi conseguenze fisiche e psichiche. Tra i nuovi arrivati la mortalità risulta minore per neoplasie, disturbi mentali, malattie endocrine e dell’apparato digerente, ma è più alta per infezioni, malattie del sangue e cardiovascolari.

Le malattie infettive sono le più documentate

Le cattive condizioni igienico-sanitarie e l’uso di acqua contaminata durante gli spostamenti, spesso in condizioni estreme, aumentano il rischio di infezioni sia batteriche, sia virali o parassitarie. Questo interessa soprattutto i bambini che potrebbero non ricevere tutte le vaccinazioni raccomandate. Tra le malattie più insidiose, la tubercolosi, l’HIV e l’epatite. La TBC non è sempre facile da diagnosticare e in molti casi può essere latente. In media l’8,2% delle diagnosi di tubercolosi nella regione europea dell’Oms è relativo a migranti o rifugiati, anche se tale percentuale varia a livello geografico. Nei paesi Ue – l’area economica europea – si arriva ad una percentuale del 32,7% e spesso si tratta di forme resistenti ai farmaci.

Rifugiati e migranti rappresentano il 21% delle nuove diagnosi di HIV nell’area europea Oms. Sono il 40% nei paesi nell’area economica europea. Spesso la malattia è contratta nel paese di arrivo. Viene diagnosticata tardivamente rispetto ad altri gruppi a rischio. Le percentuali di infezioni da epatite B variano, a seconda del paese di origine, tra il 3 e il 9% in 31 paesi della regione europea dell’Oms.

Malattie non trasmissibili

La carenza di dati rende più confuso il quadro delle malattie non infettive. Alcune evidenze suggeriscono, una più bassa prevalenza per alcune malattie non trasmissibili. Ma le differenze con la popolazione locale spesso si attenuano con l’allungarsi della permanenza, come nel caso del sovrappeso e dell’obesità. In condizioni di povertà, la permanenza nei paesi di accoglienza aumenta anche il rischio di malattie cardiovascolari, ictus e cancro, a causa del cambiamento dello stile di vita.

Il rischio di ammalarsi di diabete mellito di tipo 2 è maggiore tra i rifugiati e i migranti, soprattutto tra le donne, con una comparsa in età più precoce. Per quanto riguarda le malattie cardiovascolari, la prevalenza ed il tipo di malattia sembrerebbe dipendere da fattori di rischio come etnia e status socioeconomico. Migranti e rifugiati provenienti da Asia meridionale e medio Oriente hanno un più alto rischio di ischemia cardiaca ed infarto rispetto alla popolazione ospitante dell’Europa occidentale.

Per quanto riguarda il cancro i dati sono ancora limitati. In generale è più basso il rischio di morte per tutte le neoplasie, tranne che per il cancro cervicale. È più probabile però che il cancro venga diagnosticato in fase avanzata, con esiti sanitari significativamente peggiori che nelle popolazioni ospitanti.

La salute mentale

Il processo di migrazione può essere molto stressante sia durante il transito sia dopo l’arrivo nel paese di accoglienza. Tuttavia, la prevalenza di disturbi mentali varia molto tra gli studi e i gruppi di popolazione. Il disturbo da stress post-traumatico è prevalente tra i rifugiati e i richiedenti asilo rispetto alla popolazione ospitante. Fattori di stress post-migrazione, come l’attesa per la richiesta di asilo, le condizioni socio-economiche inadeguate, la disoccupazione e l’isolamento, sono generalmente associati a depressione e ansia.

Salute sessuale e riproduttiva

Limitate sono le evidenze sulla salute sessuale e riproduttiva, con studi che mostrano risultati contraddittori. Alcuni studi trovano una maggiore prevalenza di infezioni trasmesse sessualmente in donne migranti e rifugiate, mentre altri studi non evidenziano differenze. Numerosi sono i casi di mutilazione genitale femminile praticati sia nei paesi di origine che nei paesi europei, anche se una più lunga permanenza nel paese ospitante è spesso associata ad un rifiuto di tale pratica.

Sia bambini che adulti, maschi e femmine, sono vittime di violenza sessuale durante il viaggio e anche dopo il loro arrivo in Europa, ma i servizi di supporto sono spesso rivolti solo alle donne e collegati a problemi di salute riproduttiva. Il rischio di esiti perinatali e ostetrici avversi, compresa la morte, risulta maggiore tra donne rifugiate e migranti, con una grande variabilità a seconda dell’area geografica di origine.