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La mitigazione dolce : la strategia svedese contro il coronavirus

La mitigazione dolce. E’ la strategia svedese contro il coronavirus. La strategia è portata avanti da Anders Tegnell, l’epidemiologo a capo dell’Agenzia di sanità pubblica svedese.

L’idea svedese veicolata dallo scienziato non punta al raggiungimento dell’immunità di gregge ma viene definita “strategia di mitigazione” con l’obiettivo di non distruggere l’assetto sanitario e socioeconomico dell’intero Paese sul medio-lungo periodo senza chiudere il Paese. È proprio il periodo lungo quello invocato dalle autorità svedesi per mettere a tacere i dubbiosi di fronte all’ingente numero di morti. L asciar “correre” l’epidemia permetterà di non arrivare alla seconda ondata con numeri ancora insostenibili che costringeranno gli altri Stati a richiudere tutto. Questa in sintesi la promessa di Anders Tegnell che in un’intervista al Financial Times dichiara. “In autunno ci sarà la seconda ondata e la Svezia avrà un alto livello di immunità e il numero di casi sarà probabilmente piuttosto basso. La Finlandia al contrario avrà un livello molto basso di contagiati, dovrà forse richiudere tutto?”.

La strategia italiana di “appiattire la curva” non serve tanto a contenere il numero di contagiati totale, ma a diluirlo nel tempo. Serve a contenere il numero dei morti totale. Quando la diffusione dell’epidemia prende una velocità esponenziale, le terapie intensive, la capacità di tracciamento e la disponibilità di cure e presidi non riescono a stare dietro al “ritmo” di progressione dei malati e le criticità provocano in modo indiretto molte più vittime.

La seconda ondata, se ci sarà, non troverà Stati impreparati. L’altra speranza della Svezia è arrivare alla seconda ondata con circa il 40% totale di popolazione immune. È la cifra che l’epidemiologo di stato svedese aveva stimato per la capitale Stoccolma entro la fine di maggio. I primi test epidemiologici condotti nel mondo danno mediamente un tasso di popolazione contagiata del 10% con punte nelle aree più colpite – come in Italia – tra il 40 e 60%. Percentuali che non mettono al riparo da nuove ondate e che non garantiscono l’immunità di gregge. Tegnell precisa. “Non credo che noi (o qualche altro Paese del mondo) raggiungeremo l’immunità del gregge, perché non penso che questa sia una malattia che scompare e per il vaccino, nel migliore dei casi, è probabile che occorrano anni”.

La Svezia, quindi, punta a trovare un modo di convivere con il virus che possa durare per mesi, se non per anni, senza la necessità di grandi cambiamenti. Un approccio che si basa su gran senso di responsabilità dei cittadini e su qualche divieto come lo stop a raduni di oltre 50 persone, didattica in presenza in scuole superiori e università, visite di parenti nelle residenze per anziani. La Svezia non è salva né dal punto di vista sanitario né economico. Infatti l’indice azionario principale svedese è messo peggio (a fine aprile -19%) di quelli di Norvegia e Danimarca (rispettivamente -9% e -6%) e più vicino a quello finlandese (-24%). Il Ministro delle Finanze, Magdalena Andersson, aveva definito la situazione economica “molto grave” e aveva previsto -4% di Pil e – 9% di occupati.

Tegnell ammette alcuni errori. “È qualcosa di cui ci pentiamo profondamente” e ha suggerito che il più alto tasso di infezione nelle RSA svedesi sia il motivo principale per cui il Paese ha avuto più morti rispetto ai vicini. Poi ha annunciato l’apertura di un’inchiesta. La Svezia è anche il Paese dove i casi totali sono “bassi” perché si fanno meno test. Ad aprile era stata scritta una petizione (con 2.000 firme tra medici e scienziati) che contestava i fondamenti delle scelte di Tegnell, tanto che l’immunologa Cecilia Söderberg-Nauclér del Karolinska Insitut sosteneva come l’assenza di test e il non-isolamento dei contagiati stessero portando il Paese “alla catastrofe”.

Di fronte al grave bilancio di vittime, Tegnell ha affermato che ci vorranno uno o due anni per sapere quale strategia ha funzionato meglio e quale sarà stato il costo finale per la società. Le scelte politiche devono basarsi su quello che si sa, sull’opinione degli scienziati e su che cosa conta di più per uno Stato e la politica deve fare un delicato bilancio tra i rischi per le persone, per l’economia e la salute pubblica.